Quanto pesa il giudizio sulla normalità dell’essere diversi…? Viaggio nei recessi del disagio psichico per “specchiarsi negli occhi degli altri…”

Bologna 20 novembre 2010- Una giornata particolare, piccolo resoconto e commenti di due amiche.

 

Un invito da parte di una cara amica a prendere parte ad un convegno dal titolo: “Specchiarsi negli occhi degli altri – Quanto pesa il giudizio” non è cosa che mi capita spesso. Ma, con la voglia di essere con lei ad affacciarmi nel mondo del disagio psichico, non me lo sono fatta ripetere due volte ed ho subito accettato, anche se mi sono chiesta che tipo di impressioni e di reazioni avrei potuto avere.

 

Già questi miei pensieri sono stati “in sintonia” con quello che era il tema del convegno: il significato e l’effetto dello “stigma”, cioé del “marchio” sulla persona in preda a un disagio psichico e alle persone che lo circondano.

 

Cito da un articolo di Annalisa Landi, nella carpetta del convegno: ” ……..C’é il non accettare qualcuno nell’ordinarietà del suo essere persona umana……. il rifiuto algido di accogliere le persone così come sono per guardarle, maliziosamente, in modo frammentante, e non nella loro interezza ……..”.

 

Il disagio psichico fa paura, forse più di altri tipi di diversità, si cerca di nasconderlo, da una parte, e di non vederlo dall’altra, è imbarazzante, per chi come me, non lo conosce. In questo campo, in effetti, mi sento profondamente “ignorante”, ed io stessa mi sono scoperta come una persona che anche inconsapevolmente tende a stigmatizzare cioè a “bollare” questo modo di essere.

 

Qualcuno ha detto oggi che il 70% degli articoli di giornale che ne parlano lo fanno in riferimento a fatti di cronaca nera. Ma le belle esperienze portate avanti e vissute dalle miriade di associazioni e di gruppi di mutuo aiuto e raccontate oggi, in prima persona dagli stessi malati, non fanno notizia.

 

Sentire raccontare dalla loro viva voce la gioia di sentirsi accolti in mezzo ad altre persone senza distinzione di “stato mentale”, é stato illuminante, tanto che in alcuni casi all’interno dei gruppi che si susseguivano sul palco a parlare della loro esperienza, facevi quasi fatica ad identificare il “malato” dal “normale”. Si percepiva inoltre il piacere di poter raccontare le loro storie, senza falsi pudori, che servono solo ad acutizzare il disagio già comunque presente, ma che se almeno viene riconosciuto ed accettato, provoca una dose minore di dolore. Sono storie piene di gratitudine per le tante persone che lavorano per assicurare a tutti una vita migliore, una vita ricca e piena come ogni essere vivente si merita su questa terra.

 

Ognuno ha avuto modo di esprimere con sincerità il proprio sentire, ci sono state infatti anche critiche da parte di chi si é sentito stigmatizzato a volte dagli stessi operatori. C’é anche il bisogno infatti, che queste persone possano anche tentare un approccio più autonomo nell’ingresso, ad esempio, del mondo del lavoro.

E’ stata molto importante secondo me la presenza di ragazzi delle scuole superiori affinché la testimonianza di queste storie possa essere il più ampia possibile,per contribuire a creare una nuova coscienza di accoglienza per tutti gli esseri che calpestano la nostra stessa terra e poter così dar modo a tutti di esprimere la propria individualità.

 

L’amore, l’attenzione, il rispetto e la comprensione penso che siano gli ingredienti essenziali da far circolare in tutti gli ambiti, anche in quello del disagio psichico. Le etichette, tanto facili da “affibbiare” in qualsiasi contesto, sia in positivo che in negativo (matto, extracomunitario, omosessuale, ma anche semplicemente, strano, saggio, capace o incapace, fannullone, parassita, intellettuale…..) sottintendono una necessità di semplificare il giudizio, da cui scaturisce, automaticamente, il nostro atteggiamento, togliendo la spontaneità all’incontro che, ogni volta che si verifica dovrebbe e potrebbe essere sgombro da ogni pregiudizio. Grazie Antonella!

Caterina

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Cara Caterina, non mi permetto di aggiungere nulla ai tuoi sentimenti espressi così chiaramente. Io poi mi sento parte di questo mondo ormai e non riesco mai ad esprimere in modo efficace quello che vivo e che ottengo dal lavoro che faccio, senza correre il rischio di apparire banale. Mi hai fatto un grande regalo ad accogliere il mio invito e la sensazione è quella di averti offerto qualcosa di me. Nei confronti delle persone con disagi di qualsivoglia genere, noi che abbiamo un po’ di “intelligenza” abbiamo la responsabilità di trasmettere ai nostri ragazzi la capacità di potere sempre vedere oltre quello che ci appare davanti. Ti ringrazio di averti al mio fianco ogni tanto.

 

Antonella

 

PS. Aggiungo i links utili

www.socialpoint.it

www.leparoleritrovate.com  

 

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